Ha perso tutto. Anche il suo nome

Ha perso tutto. Anche il suo nome

Abbandonato dai genitori quando era in fasce. Un’infanzia passata negli istituti. Un’adolescenza trascorsa lavorando come uno schiavo. Una serie di incidenti che l’ hanno segnato: 45 anni vissuti col fiato sospeso, all’inseguimento di quella tranquillità che gli è sempre sfuggita. Ora si è rivolto a Elio Petroni. All’investigatore privato ha chiesto di scoprire il suo passato. Conoscere le sue origini. Avere notizie dei genitori, tante volte sognati, tantissime volte odiati per averlo abbandonato. Se ci fosse un Nobel anche per la sfortuna il signor Piero avrebbe grosse chances di portarselo a casa. 
“Quando avevo tre anni e mezzo – racconta a Petroni – in istituto venne un signore che mi portò ai Parioli, in una casa del rinomato quartiere della capitale. Passai l’intera giornata con lui, poi la sera mi riaccompagnò in istituto. Qualche giorno dopo mi venne a trovare una signora. Mi disse di non disperare perché un giorno la mia mamma sarebbe venuta a prendermi. Ricordo solo che piangeva singhiozzando e si asciugava il fiume di lacrime con un fazzolettino. Qualche anno dopo conobbi il signor Gaetano che fu molto gentile con me e mi promise che all’età di 15 anni mi avrebbe portato via dall’istituto. E fu così. Cominciai a lavorare in uno dei cantieri del signor Gaetano. Fu il periodo più bello della mia vita. Una volta congedato, mi comprai un’auto sportiva, un’850 Moretti. Era aprile del 1973. Esattamente un anno dopo, il Primo Maggio del 1974, la mia vita ebbe un’altra virata. Purtroppo tornò buia come prima. Uno spaventoso incidente sulla Roma-Fiumicino mi lasciò in coma per venti giorni. La colpa non fu mia. Perfino il tribunale condannò il conducente di quella dannata Rover. Ma io non vidi una lira. Non ho mai capito il motivo per cui non fui risarcito per il danno subito. Uscito dal San Camillo ripresi a lavorare nei cantieri del signor Gaetano. Facevamo la notte di picchetto per evitare che le case costruite e sfitte venissero occupate da baraccati, sfrattati e senza tetto. Pur di tornare presto a lavorare io avevo accelerato la mia convalescenza post-coma e purtroppo ricevetti una brutta sorpresa dai miei datori di lavoro: persi il posto perché rappresentavo un pericolo per la sicurezza e l’incolumità degli altri lavoratori, in quanto – a loro giudizio – non mi ero ripreso bene dall’incidente. Le mie suppliche non bastarono e mi ritrovai per l’ennesima volta a ricominciare daccapo. Mi recai prima in Veneto, poi in Svizzera, in Arabia Saudita e nell’81 ritornai in Italia. Mi prestavo ai lavori più umili pur di sopravvivere. Nel 1982 sposai Maura. Dal nostro amore nacquero due figli, Michele e Stefano. All’età di quattro anni Michele fu investito da un’auto e riportò un trauma cranico. Non dimenticherò mai tutto quel sangue che colava dall’orecchio. Sei interminabili giorni nel reparto rianimazione del San Camillo, senza mai muovere un arto. I dottori l’avevano dato per spacciato, ma il Signore ha voluto ridarcelo in vita. Dopo venti giorni di ospedale ritornammo tutti e quattro a vivere in macchina, non avendo nessun aiuto dal servizio sociale della circoscrizione. Ci rimanemmo per più di un anno, fin quando un giorno i carabinieri ci consegnarono l’invito a comparire davanti al Tribunale dei Minori. Da quel momento ebbe inizio un’altra fase terribile della mia esistenza. Un’esperienza che non auguro a nessuno di provare. Ci furono tolti i nostri figli perché la nostra famiglia non era ritenuta idonea. Furono domiciliati in una casa famiglia di Venafro di appartenza a un certo signor Domenico, un uomo che ha traumatizzato i due bambini, i quali da allora non sono stati più gli stessi. Li picchiava con fruste da cavallo. Per fortuna intervennero Telefono azzurro prima e i carabinieri poi. Nel capo d’imputazione contro questo aguzzino si legge che i minori venivano utilizzati per la pulitura delle stalle, per la cura degli animali e a loro era proibito l’uso del bagno durante la notte. I carabinieri sequestrarono anche cassette di film vietati. Finì tutto con un patteggiamento. L’accusa fu abuso di mezzi di correzione. La sentenza scatenò le proteste di diverse associazioni. Ora i bambini sono tornati con me e mia moglie, ma temo per il loro recupero psichico. A volte sono strani, addirittura violenti. Sono molto preoccupato. Ma ora devo trovare un lavoro. Busserò di nuovo alla porta del signor Gaetano”.
da un articolo del 3 febbraio 1997 uscito su Il Tempo

 

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