Il dipendente fannullone può essere seguito da un investigatore privato, se dopo aver timbrato l’entrata esce dal luogo di lavoro. È quanto emerge dalla sentenza numero 44912 della Corte di Cassazione alla conclusione di un lungo iter processuale che ha visto come protagonista un funzionario del Comune di Novoli, in provincia di Lecce.
Nel 2006 il Tribunale di Lecce condanna il funzionario per truffa aggravata “firmava il registro delle presenze e poi si allontanava e andava a lavorare presso il suo esercizio commerciale”, a sei mesi di reclusione e al pagamento di € 200 di multa.
L’imputato si rivolge alla Corte d’Appello di Lecce, che però conferma la decisione di primo grado (nel 2008). Il funzionare comunale però non sì da per vinto e ricorre alla Corte di Cassazione, adducendo a sua discolpa che svolgeva a tutti gli effetti un incarico da dirigente e quindi non era vincolato all’orario, sostenendo inoltre che l’esercizio commerciale non era di sua proprietà, ma della figlia.
Ma la Cassazione non accetta il ricorso, in quanto il ricorrente risultava essere e comportarsi (era tenuto alla firma del registro delle presenze) da funzionario e non da dirigente, e inoltre il mobilificio è realmente di proprietà dell’imputato, anche se gestito dalla figlia.
Ma la contestazione della Cassazione non riguarda lo svolgimento di un’attività parallela, bensì il fatto di far apparire di essere al lavoro mentre in realtà si trovava altrove. Continua la sentenza della Cassazione che “ove sorga il giustificato dubbio che un dipendente…al di fuori dei locali dell’azienda…si renda responsabile di un comportamento illecito… è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati”. Quindi se un dipendente va a svolgere qualunque altra attività durante l’orario di lavoro può essere pedinato e le prove di tale indagine vengono accettate in tribunale.